Promemoria e risposte a domande impossibili. -12 giorni.

lavagnetta

Il promemoria sulla lavagnetta della mia stanza indica che mancano 12 giorni a Natale. Solo. Come passa il tempo. È già arrivato il momento di una nuova partenza e di nuovo sarà Natale senza te. Ciò che ci renderà vicini sarà contare i giorni che separano il nostro rincontro. Anche nella distanza, uniti come sempre.

Piccola parentesi per nulla seria.

Ieri sera c’è stata la grande finale di X Factor giunto ormai alla settima edizione e trasmesso su tutto il circuito di Sky e dunque, in maniera molto furba, anche su Cielo. Ha vinto Michele – e per quel poco che ho potuto sentire non mi piace tantissimo, ma forse bisognerebbe approfondire l’ascolto –, ha vinto ancora una volta quel genio di Morgan; vincitori morali gli Ape Escape, i rocker della Ventura che anche quest’anno va via a bocca asciutta (del resto qualcuno mi spieghi cosa ne capisce di musica); ma soprattutto vincitore morale è Mika ed è  inutile dire che adoro quell’uomo, la sua musica, i suoi look, il suo italiano sgangherato, la sua simpatia; insomma una rivelazione piacevolissima.

Ammetto, però, che non ho seguito molto questa edizione di X Factor, così come la finale vista a tratti. Sapevo che tra gli ospiti ci sarebbero stati i One Direction, e ci tenevo a seguire proprio la loro esibizione per trovare risposta ad alcune domande che attanagliano e incuriosiscono me e mia sorella (che ci guardavamo perplesse dai due capi del tavolo): ma questi chi sono? E soprattutto che canzone cantano?

Fino ad oggi io avevo solo sentito nominare e visto di sfuggita foto di quello che tutti considerano il fenomeno musicale del momento. Davvero, non avevo mai ascoltato una loro canzone, nemmeno per caso in radio passando da una stazione all’altra. Le note dei One Direction erano a me ignote, insomma. Io che ero rimasta ferma ai Take That, ai Backstreet Boys, ai Boyzone che ormai non sono più di primo pelo. Ora ci sono loro e, come ai miei tempi, anche per loro le ragazzine urlano a squarciagola piangendo, con in testa il film di un fidanzamento straordinario con il più figo; o addirittura immaginando che, durante un concerto con migliaia di persone, uno di loro dal palco si accorga di lei, le si rechi incontro e prendendola per mano la porti sul palco, le asciughi le lacrime e la baci appassionatamente mentre partono fuochi l’artificio e stelle filanti. A ciccia svegliate! (Della serie “da che pulpito vien la predica”, parla  quella che per tutto il concerto dei Coldplay ha pianto come una fontana)

Per dovere di cronaca ho risentito la canzone che i One Direction hanno cantato ieri sera a X Factor, ovvero “Story of my life”, e a dire il vero non è poi malaccio, è abbastanza orecchiabile. Questo non toglie che bisognerebbe ascoltare tutte le altre canzoni, ma vista la tipologia delle loro fan, un po’ di reticenza c’è.

Intanto, mentre scrivo, mi godo i Depeche Mode.

(Mi sono resa conto che la parentesi non è stata poi così tanto piccola, ops…)

Addobbi “vintage” e prove tecniche di fotografia. Intanto -13.

-13

 

Ok, lo so che per molti le mie foto (compresi i miei disegni) potranno sembrare opera da dilettante – in fondo un po’ lo sono, perché negare – però in mia difesa voglio dire che sto imparando. Mi sto esercitando nella fotografia, nella composizione, nella ricerca della luce migliore, cercando di sviluppare e affinare un mio stile che passa questa volta attraverso l’occhio, col veicolo delle immagini, per arrivare a chi se le troverà davanti in modi diversi da quello che è solitamente il mio canale preferenziale, le parole.

È vero, con le parole si può fare tutto, si costruiscono situazioni, si dipingono mondi, si plasmano personaggi che talvolta sono talmente vicini che ci sembra proprio di toccarli, di sentirne il calore, di percepirne il respiro. Io amo le parole, un amore profondo, viscerale; per me sono come l’aria, indispensabili e scrivere – come ho cercato di descrivere qui – non è solo un esercizio di stile o una forma di espressione, è donare se stessi.

Le immagini, in questo caso le fotografie, sono altresì canali potenti e diretti che veicolano messaggi, mostrano mondi e altri ne celano all’occhio pigro e scettico. Una sola immagine da sola può essere la sintesi perfetta del tutto che non ha confini, che occupa spazi ben più ampi di quelli delimitati dalla carta fotografica. Proprio perché consapevole di questo, sto cercando di ampliare i miei mezzi comunicativi, nel mio piccolo è una sperimentazione che passa dall’obiettivo di una fotocamera presa in prestito e dai pastelli e pennarelli messi da parte tempo fa, quando ho lasciato l’isola dell’adolescenza.

Certo non posso parlare di una vera potenza comunicativa attraverso queste semplici foto che giorno per giorno propongo. Questo è diletto, un piccolo progetto natalizio nato su due piedi – che si sta rivelando più impegnativo del previsto –, una sfida che mi sono impegnata a portare a termine e che non disdegno possa diventare un appuntamento fisso per i prossimi periodi di Avvento.

Dunque concedetemi errori tecnici, rozzezza di esecuzione e composizione ma sto iniziando da zero con le mie sole forze.

Per la foto di oggi – solo meno 13 giorni a Natale – vi propongo un altro pezzo del repertorio di addobbi natalizi di casa mia; direi un pezzo “vintage” dato che questo era utilizzato per addobbare casa di mia nonna materna e prima ancora la casa in cui vivevano mia madre e la sua famiglia. Probabilmente questa slitta di Babbo Natale trainata da renne proviene dagli Stati Uniti. Non ricordo con precisione, lo accerterò e ve lo farò sapere. C’è da dire che mentre il Babbo Natale Assassino in casa nostra ha occupato sempre lo stesso posto, la slitta di posti e angoli diversi ne ha visti parecchi. Attualmente, per questo Natale, è sulla mensola del termosifone della cucina, ben in vista.

Chissà l’anno prossimo da quale angolazione ci osserverà.

E il vostro pezzo forte tra gli addobbi natalizi qual è? Se passate di qui e vi va di condividerlo con me potete farlo qui sotto, o scrivendo due righe a sibylbiscuit@hotmail.it.

Mancano solo 14 giorni a Natale? Davvero?

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Ieri ho ricevuto una sorpresa bellissima. Candele, una torta cioccolatosa, la nostra canzone e lui che è il mio grande amore. Serata romantica nel nostro rifugio. Momenti perfetti.

Questa foto è stata scattata in un negozio che adoro, la “Maison du Monde” dove si trova arredamento, complementi e tanti articoli per la casa. Insomma un posto fantastico tutto l’anno che nel periodo natalizio diventa magico. Ve lo consiglio.

Babbo Natale Assassino vi guarda e dice -16 a Natale

-16 con BNA

Plin plon. Si avvisa la gentile clientela che oggi il conto alla rovescia per Natale vi è offerto direttamente da Babbo Natale Assassino, per un Natale da paura!

Quello che vedete in foto è un pupazzo di Babbo Natale che ogni anno puntualmente assieme a tutto l’ambaradan di albero, presepe, porta candele, ecc. addobba casa mia. Sia quando vivevamo nella casa precedente, sia qui nella nuova casa, il suo posto è sempre lo stesso, sul lato destro della libreria nel salotto. Quel Babbo Natale è con noi da tempi immemorabili. È stato regalato a me e mia sorella quando eravamo piccole da mio nonno paterno che purtroppo non c’è più da tanto, troppo tempo. Inizialmente la cesta che ha sulle spalle era piena di caramelle; nel tempo quella cesta ha contenuto nastri colorati, addobbi vari che non riuscivano ad andare sull’albero perché ormai colmo, incarti di cioccolatini vari che io e mia sorella puntualmente cercavamo di nascondere – devo dire molto intelligentemente – proprio in quella cesta, con la speranza che nessuno li scoprisse e si rendesse conto della rapidità con cui i cioccolatini sparivano dal centrotavola.

Visto così, anche se ormai vecchio, non è poi tanto brutto. Certo, il colore da alcune sporgenze del viso è andato via, le braccia – che una volta si muovevano solo su e giù – oggi sono totalmente snodabili e non si sa nemmeno quale forza le costringa ancora a rimanere attaccate al corpo; la barba poi è un po’ arruffata; però tutto questo è comprensibile se si pensa alle cadute e voli fatti dalla libreria, o al fatto che durante il periodo natalizio il pupazzo diventava il nostro compagno di giochi. Eppure per me e mia sorella è stato ed è ancora noto come “Babbo Natale Assassino”. Un nome affibbiatogli di comune accordo mentre lo guardavamo fisso in volto. Quell’espressione, quello sguardo fisso che sembra stia guardando perennemente te si trasforma al buio; le lucine dell’albero, con i loro giochi a intermittenza, proiettavano su quel viso ombre inquietanti. E nel buio della vecchia casa, quando dal nostro letto guardavamo dello specchio della cameretta c’era la sua immagine riflessa. Lui ci guardava con quell’espressione dallo specchio.

La nostra, però, non era paura o terrore, era uno strano senso di inquietudine misto a divertimento; era un gioco da bambine, cercando di spaventarsi a vicenda per finire invece in uno scoppio di risate.

Quel gioco continua ancora oggi, così come Babbo Natale Assassino continua ad essere fermo lì, sulla libreria del salotto.