Frittelle a volontà! Intanto -17

frittelle

 

Nella casella del calendario dell’Avvento di oggi ho pensato di inserire uno dei piatti più tipici di questa giornata dell’Immacolata qui in Puglia, o per lo meno nella città di Molfetta: le frittelle. Al solo pensiero mi si scatena la fame, la gola si risveglia e parte l’acquolina in bocca. Spero di aver reso l’idea. Naturalmente “frittelle” è il nome con cui le chiamiamo nella mia città, ma sono anche conosciute con il nome di panzerotti o calzoni più a nord. In pratica diversi nomi per indicare un’unica straordinaria bontà.

Con l’8 dicembre si varca ufficialmente la soglia delle feste natalizie e di fine anno, ma si varca anche il punto di non ritorno delle grandi mangiate, di pranzi e cene pantagrueliche che ti siedi a tavola col sole e riesci ad alzarti quando il sole è sparito all’orizzonte da un po’. Il tutto naturalmente con tempi lunghi, pause tra una portata e l’altra, quello che si potrebbe perfettamente chiamare “slow food”. Un cibo da assaporare, da scoprire, ma soprattutto da condividere. E in questo noi in Puglia siamo degli specialisti indiscussi. Sedere alla tavola di un pugliese in questo periodo è quasi un’esperienza mistica.

Tra la festa dell’Immacolata, la vigilia, Natale, santo Stefano e Capodanno le famiglie sono messe davanti ad un’ardua scelta: preparare le frittelle o il calzone (per intenderci una focaccia ripiena di merluzzo o tonno con cipolla, olive, pomodoro… praticamente una bomba di gusto!).

Naturalmente la prima scelta condiziona le altre: de all’Immacolata si fanno le frittelle allora inevitabilmente a Natale sarà la volta del calzone o viceversa.

Ma torniamo alle frittelle. Prepararle è semplicissimo! L’impasto è semplicemente quello della pizza o della focaccia: farina, acqua, lievito, olio, sale e un pizzico di zucchero; impastare tutto insieme, una bella lievitazione e il gioco è fatto. Il ripieno, rigorosamente salato, varia da quelli più tradizionali come mozzarella, pomodoro e a piacere capperi, oppure cipolla, pomdoro e tonno, o ancora ricotta e prosciutto cotto, a quelli più creativi: spinaci, formaggi misti, verdure, e qualcuno ci mette anche la Nutella. Senza dimenticare le frittelle vuote che hanno comunque il loro fascino.

Basta semplicemente stendere l’impasto in dischetti di media grandezza, inserire nel centro un po’ di ripieno scelto, chiudere la frittella (facendo attenzione a far fuoriuscire l’aria così non si rischia che si possano rompere in cottura) e sigillare le mezze lune eliminando la pasta in eccesso con una rotella tagliapasta. Adagiare infine le frittelle nell’olio di semi ben caldo e cuocere fino a quando non avranno assunto un colore bello dorato.

C’è però da fare un appunto sulla grandezza delle frittelle che varia da famiglia a famiglia: piccole, medie, grandi il formato diventa un vero marchio di riconoscimento, un po’ come lo stemma di una casata. Così come il sistema di chiusura: c’è chi le sigilla con la rotella. Chi con le dita e poi ricama attorno al bordo un cordoncino, chi invece utilizza i rebbi della forchetta. C’è anche chi all’interno della stessa famiglia utilizza metodi di chiusura differenti per distinguere le frittelle dai ripieni differenti.

Insomma il mondo delle ricette natalizie è qualcosa di magico e tutto da scoprire. E se volete seguitemi perché continuerò a parlarvene!

Istantanea di un ricordo. Intanto -18 a Natale!

casetta

 

Come accennato ieri, oggi un -18 con una foto speciale e, ci tengo a precisarlo, non mia. È una foto di Vincenzo Bisceglie e i suoi fantastici lavori, soprattutto video, potete vederli qui!

Ho voluto fortemente inserire questa foto nel mio calendario dell’Avvento perché per me racchiude un po’ l’essenza del Natale. Questo è quello che si potrebbe definire come il potere evocativo di un’immagine: un fotogramma, un attimo catturato da solo può talvolta comunicare più di mille parole. Ovviamente è tutto molto soggettivo, dipende dallo stato d’animo e dal sentire di ognuno.

Nel mio caso questa foto è inevitabilmente legata ai ricordi, al luogo in cui è stata scattata. Forse è proprio questo ad attribuirle quel qualcosa in più, un alone magico che al solo guardarla mi fa respirare il profumo del Natale a pieni polmoni.

La foto è stata scattata qualche anno fa presso i mercatini natalizi di piazza Navona a Roma. Era una gita di quelle organizzate per poter ammirare la bellezza della capitale illuminata da mille luci scintillanti, con quel freddo pungente ma secco, le vetrine addobbate e le rovine che sembravano raccontare con più fervore i loro segreti. Se non è questa pura magia.

È stata una giornata fantastica e intensa, ricordo che in quell’occasione abbiamo anche scalato di corsa la cupola di san Pietro. Gli occhi e la mente sono stati rapiti dall’atmosfera dei mercatini, dall’odore di dolci e castagne arrosto, dai colori degli addobbi, dal ghigno buono delle befane e dal sorriso di Babbo Natale.

Tra le tante bancarelle, tra la miriade di addobbi questa piccola casa di terracotta pendeva mossa da un leggero vento freddo, girava su se stessa cercando tra la gente occhi che l’ammirassero. Poi ha incontrato un ragazzo che con un occhio meccanico l’ha immortalata in quell’istante per sempre.

-19 fatto di Lindor! Si può fare!

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Oggi il calendario dell’Avvento giunge un tantino in ritardo ma per motivi piacevolmente tecnici. Questa mattina infatti ho trovato i doni di san Nicola! Due piatti meravigliosi pieni di dolci e cioccolato. In particolare i miei amati lindor! Dunque come non approfittare e fotografare un numero 19 fatto di cioccolatini?

Il cioccolato della Lindt è la mia passione, l’irresistibile “scioglievolezza” mi fa impazzire letteralmente.

Quest’anno ci sono anche nuovi gusti da scoprire, ad esempio quello allo champagne che non vedo l’ora di addentare e gustare. Tra i miei preferiti ci sono sicuramente quelli al cocco, al caramello e al cioccolato bianco, e naturalmente il classico lindor che non passa mai di moda.

Prima di ingrassare giusto al pensiero, chiudo qui questo post lampo e ritardatario.

A domani, puntuali si spera, con una foto stupenda.

 

 

Mercatini e dilemmi di cioccolato

studio

 

Mancano 20 giorni a Natale. Ne mancano invece 12 all’esame. Ebbene sì, a dicembre mi tocca anche un esame universitario per chiudere l’anno in bellezza (si fa per dire). I giorni passano e io sono praticamente all’inizio; per la serie nulla di nuovo sotto il sole. Lo so, sto andando un po’ a rilento ma in tutti i casi ce la farò. Come sempre (e per fortuna). È una tappa importante che non posso mancare, significa essere realmente vicina al traguardo finale. Significa che un altro anno sta per terminare e uno nuovo sta per iniziare.

Non voglio ancora pensare alla fine di quest’anno, non sono in vena di bilanci che so già risulteranno disastrosi. Voglio semplicemente godermi questi giorni, anche i giorni di studio; voglio continuare il mio calendario dell’Avvento che spero vi stia facendo piacere e che assicurò vi riserverà ancora tante sorprese.

In questi giorni qui a Molfetta ci sono i mercatini di san Nicola che si festeggia il 6 dicembre e che per noi è il giorno in cui si ricevono i doni, in particolare il fantomatico “piatto”. Praticamente un piatto (ma anche un cestino, un vassoio, una ciotola, qualsiasi cosa capace di contenere cose, ci siamo capiti) pieno di dolci, caramelle, cioccolata che bambini e adulti trovano la mattina del giorno X. In questi giorni si sta consumando quella che annualmente è una vera e propria corsa a riempire questo benedetto piatto. L’altro giorno mi è capitato di fare un giro ai mercatini: al costo di 5 euro puoi acquistare un piatto di plastica (quelli che sembrano dei sottopiatti scadenti per cene finte-eleganti) con al centro posate 3 o 4 barrette di cioccolato il tutto avvolto da abbondante pellicola trasparente, quella da cestini, a mo’ di uovo di Pasqua con tanto di nastro rosso malamente arricciato. Con 10 euro ti porti addirittura a casa un cestino che sembra traboccare di cioccolatini e dolciumi ma che inesorabilmente presenta sotto la sorpresa: circa tre quarti di paglietta increspata che fa solo volume. Una tristezza infinita, insomma. Ci sono poi i piatti componibili: due pezzi 2 euro, quattro pezzi 4 euro, un affarone praticamente. C’è il carbone di zucchero che i soliti burloni fanno trovare per scherzo a chi secondo san Nicola si è comportato male durante l’anno; dopo naturalmente tirano fuori il piatto vero pieno di ogni leccornia, alla faccia della “meritocrazia”. Osservare la gente che compra dolciumi per il piatto è secondo me la parte più interessante. Ero, qualche giorno fa, al supermercato del centro commerciale che per l’occasione ha allestito una vasta area dedicata a dolci e giocattoli presso l’entrata. Lì vedi persone aggirarsi tra gli espositori, ferme immobili con aria perplessa davanti all’ardua scelta di un gianduiotto classico o uno fondente, devastate dal dilemma tra quantità a basso prezzo o qualità ad un prezzo leggermente più alto. Una delle sfide più ardue continua ad essere la scelta tra cioccolato al latte o fondente: ho visto un uomo con due confezioni in mano fissarle per molto tempo, titubante, con la fronte quasi imperlata di sudore fino a quando non è giunta la moglie a salvarlo afferrando le due confezione e scaraventandole del carrello, semplice, no? Ci sono anche quelli che del cioccolato “non gliene può fregare di meno”, corrono dietro a confezioni sfavillanti, fiocchi grossi quanto la testa di Babbo Natale, scatole di latta pacchiane, involucri voluminosi e chi se ne frega se alla fine acquistano solo una misera manciata di cioccolatini, è l’occhio ad avere la meglio, è un ego frivolo ma grande quanto una casa ad essere soddisfatto. Gli indecisi sono una costante irrinunciabile: “un pezzo per parte” è la loro regola d’oro, un singolo cioccolatino per gusto, che se per caso assaggi uno che ti fa impazzire finisce lì, fatti passare la voglia perché tanto un altro uguale nel mucchio non lo troverai mai; rassegnati e vai avanti. Il reparto caramelle può riservare sempre qualche sorpresa: i colori sgargianti degli involucri possono avere effetti psichedelici, lo scricchiolio delle confezioni diventa un richiamo della foresta e dopo poco sembri quasi ipnotizzato dalla varietà dei gusti. In queste occasioni particolari tra le corsie trovi sempre delle promoter, generalmente donne tra i 40 e i 50 anni con sorriso triste e un camice bianco di cui ignori l’utilità, che ti propongono di assaggiare prodotti che puoi trovare ogni giorno ma che ti spacciano per la novità del secolo. Naturalmente, come una costante matematica, lì dove c’è una degustazione gratis il simpaticone di turno è sempre presente, quello che pur di mangiarne maggiore quantità possibile affermerebbe di non aver mai assaggiato la Nutella; oppure quello che “un assaggino è per me, l’altro lo prendo per il bambino”, il quale quasi inevitabilmente si ritrova a bocca asciutta a osservare il genitore che s’ingozza (perché al figlio fa male, la madre e il padre dunque si sacrificano per lui).

Le ultime categorie sono quella dei precisini e di quelli che il fastidio di perdere tempo a comporre il piatto proprio non vogliono averlo. I primi vanno in pasticceria convinti di avere un cioccolato purissimo, un cioccolato artigianale di qualità superiore perché se proprio il peccato devono farlo, allora meglio farlo bene e con gusto. I secondi si recano sempre in pasticceria ma solo perché i piatti lì sono belli, pieni e soprattutto pronti da portar via, in pratica fantasia zero.

Insomma, ce ne sono per tutti i gusti, proprio come i cioccolatini.

Babbo Natale Assassino vi guarda e dice -16 a Natale

-16 con BNA

Plin plon. Si avvisa la gentile clientela che oggi il conto alla rovescia per Natale vi è offerto direttamente da Babbo Natale Assassino, per un Natale da paura!

Quello che vedete in foto è un pupazzo di Babbo Natale che ogni anno puntualmente assieme a tutto l’ambaradan di albero, presepe, porta candele, ecc. addobba casa mia. Sia quando vivevamo nella casa precedente, sia qui nella nuova casa, il suo posto è sempre lo stesso, sul lato destro della libreria nel salotto. Quel Babbo Natale è con noi da tempi immemorabili. È stato regalato a me e mia sorella quando eravamo piccole da mio nonno paterno che purtroppo non c’è più da tanto, troppo tempo. Inizialmente la cesta che ha sulle spalle era piena di caramelle; nel tempo quella cesta ha contenuto nastri colorati, addobbi vari che non riuscivano ad andare sull’albero perché ormai colmo, incarti di cioccolatini vari che io e mia sorella puntualmente cercavamo di nascondere – devo dire molto intelligentemente – proprio in quella cesta, con la speranza che nessuno li scoprisse e si rendesse conto della rapidità con cui i cioccolatini sparivano dal centrotavola.

Visto così, anche se ormai vecchio, non è poi tanto brutto. Certo, il colore da alcune sporgenze del viso è andato via, le braccia – che una volta si muovevano solo su e giù – oggi sono totalmente snodabili e non si sa nemmeno quale forza le costringa ancora a rimanere attaccate al corpo; la barba poi è un po’ arruffata; però tutto questo è comprensibile se si pensa alle cadute e voli fatti dalla libreria, o al fatto che durante il periodo natalizio il pupazzo diventava il nostro compagno di giochi. Eppure per me e mia sorella è stato ed è ancora noto come “Babbo Natale Assassino”. Un nome affibbiatogli di comune accordo mentre lo guardavamo fisso in volto. Quell’espressione, quello sguardo fisso che sembra stia guardando perennemente te si trasforma al buio; le lucine dell’albero, con i loro giochi a intermittenza, proiettavano su quel viso ombre inquietanti. E nel buio della vecchia casa, quando dal nostro letto guardavamo dello specchio della cameretta c’era la sua immagine riflessa. Lui ci guardava con quell’espressione dallo specchio.

La nostra, però, non era paura o terrore, era uno strano senso di inquietudine misto a divertimento; era un gioco da bambine, cercando di spaventarsi a vicenda per finire invece in uno scoppio di risate.

Quel gioco continua ancora oggi, così come Babbo Natale Assassino continua ad essere fermo lì, sulla libreria del salotto.